Arte / Liturgy Of Being (archivio3)


Liturgy Of Being, passeggiate fotografiche.
(Milano, Amburgo, Parigi, Torino)

Non omnis moriar, liturgia in camera obscura Era il 1980 quando uscì l’album Closer dei Joy Division, che avrebbe fatto la storia della musica post-punk: era la primizia del genere dark e io, ragazzo in quegli anni, ricordo bene l’attrazione che suscitarono in me quelle sonorità così oscure e melanconiche. Sulla copertina dell’album ecco una scultura funeraria del cimitero di Staglieno: il senso del lutto, cifra costante nella storia di questo movimento musicale e culturale - da qui anche l’abitudine a vestirsi di nero - permea, unito ad un’aura di mistero, la bianca pietra, colpendomi profondamente. Ricordo di aver visitato più di un cimitero da allora; fu naturale sviluppare anche un interesse molto vivo per l’arte simbolica e decadente dell’Ottocento, sia poetica che figurativa. Certo, oggi la morte è un grande tabù che pochi desiderano affrontare; io, per mio conto, non ho fatto altro che girare intorno a questo tema per lungo tempo. Penso ad esempio alla serie Dream (fine 2010) dove i corpi si fanno linguaggio di nascite e rinascite, fino alle più recenti collezioni (si vedano ad esempio Crisalidi), dove essi paiono danzare dentro bianchi sudari. In tutte queste opere non domina la freddezza del sepolcro, il tragico gelo della fine: ho sempre cercato di conferire ai corpi una certa aura mistica e, per cosìdire, vitale. La svolta è iniziata forse nel 2012 quando, in viaggio a Parigi, visitai i cimiteri della città, specialmente quelli monumentali. É incredibile l’atmosfera che regna in questi luoghi, e camminare in mezzo ai sepolcri suscitava nella mia anima richiami profondi. Ne venne fuori una collezione di scatti, col desiderio di ripetere l’esperienza anche in altri cimiteri dell’Italia e dell’Europa. Penso anche a quando, alcuni anni fa, mi imbattei in un archivio di ritratti fotografici dei soldati della Grande Guerra, e pensai di farne una collezione di opere (ora nota con il nome Fanti di memoria, già presenti nel catalogo Prima del Silenzio edito nel 2015): vi fu una certa convergenza di tutto il mio lavoro di artista verso il tema della morte affrontato nei suoi simboli e nei segni visibili del suo passaggio nella storia. Le cose, poi, sono venute fuori da sé: quando, l’anno scorso, ho iniziato a dipingere sulle fotografie, a creare i primi dittici della collezione qui presentata, è stato come cogliere finalmente il frutto di quella intuizione primordiale della mia giovinezza (alcuni lavori erano già apparsi nel catalogo Esercizi dello sguardo, arte contemporanea in Romagna, a cura di F. Bertoni, 2018). Non omnis moriar, liturgia in camera obscura. La liturgia è, per definizione, un’azione di culto corale, dove il singolo è come innestato in un dialogo più grande, di cui non è che un tassello: ecco allora che queste figure scultoree, che alzano le braccia in supplica, o stringono al petto un caro defunto, non solo ci riguardano, ma entrano insieme a noi in una cosmica e misteriosa liturgia di immagini. E cosa sono quelle figure oniriche femminili dai tratti sovrannaturali che compaiono nella collezione, se non vive presenze (Angeli?) dall’altro lato del “muro”, in questo dialogo silenzioso? L’interazione con queste immagini diviene un modo per partecipare al loro significato e, in qualche modo, alla loro funzione, a partire dallo scatto fino all’intervento pittorico e alla doratura, per poi passare alla composizione di dittici e quadrerie. Negli ultimi anni, ho avuto l’opportunità di lavorare negli gli archivi storici di Cesena. Sono andato in cerca di documenti e scatti che evocassero memorie perdute, volti scomparsi, storie dimenticate da far riemergere, quasi come un rabdomante, in superficie, rivelandone tutta la freschezza e vitalità nascoste dall’abisso dell’oblio. Da una parte sono intervenuto su di esse mediante tecniche pittoriche, digitali e miste, e svelando una dimensione segreta dell’immagine stessa, che deve essere collocata al di fuori dell’orizzonte strettamente storico e cronachistico, a vantaggio di una ricerca più spirituale. Ciò diviene possibile attraverso il ricorso a simboli che scavano, rimando su rimando, fino alle radici profonde dell’uomo e della civiltà. Allora le opere diventano non tanto e non solo un tributo al nostro passato, ma voci sul nostro presente. Occhi di stelle è quindi una serie di opere uniche in formato di cartolina: i personaggi ritratti in primo piano provengono in gran parte dall’archivio fotografico del teatro Bonci di Cesena, e si tratta per lo più di cantanti e attori del secolo scorso. Mediante il ritaglio, il collage, l’intervento pittorico, “scavo” dentro queste figure, per portare alla luce simboli, bagliori, persino nuovi ritratti, come stratificati. E’ dunque un viaggio a ritroso nel tempo, quello compiuto da ciascuna di queste cartoline: dalla foto in bianco e nero di un attore, al martirio di un santo dei secoli passati, fino a giungere al tempo più remoto della formazione delle stelle, o al non-tempo dei sogni. La collezione è arricchita anche dalla serie Occhi di stelle perdute. In questo caso i soggetti delle cartoline, sempre in copia unica, sono spesso soldati, aviatori, astronauti o star controverse del cinema del secolo scorso.

Matteo Bosi

"As a conclusion of a long travel across the most important italian and european cemetries and after the successive work of construction of a narrative related to the mistery and the tabù of death, I produced a series of artworks called "Litanie, in camera oscura". The triptych "the three urns", shown in the present catalogue, is part of this collection. The underlying iconography of the whole series aims at express not only the caducity of life, but also the very deep connection between the sacred and profane as it is particularly revealed in the cemetries I visited. Finally, a mistic flavour permeate most of the artworks. The intimate dialogue that arose during my travel in the middle of those ancient stories, sensations, emotions made this experience unique for me. My crepuscolar nature freed beneath my sight the matter, and then I started creating."

(Milano, Amburgo;Ohlsdorf)